Yuppi du (1975) di Adriano Celentano

visto con Ima, rimasta sconvolta dal nonsense del film, anche se dopo Wrong credevo niente potesse sconvolgerla... 






La trama è semplice: un barcaiolo purazzo si crede vedovo della madre della sua bambina e si risposa, ma lei torna, alché tutto cambia. 
Film diretto, prodotto, interpretato, montato, sceneggiato e musicato da Celentano, con in mezzo moglie e figlia. La regia è psichedelica, perfetta per gli anni '70, con movimenti di macchina e zoom da capogiro, ma comunque sempre utili alla narrazione e che non distraggono mai dal protagonista di ogni inquadratura (scena epica quella di Silvia che cammina sulle passarelle, di una carica erotica mostruosa senza mostrare o smostrare niente); musica perfetta in ogni occasione dai pezzi musical, a quelli più romantici o melanconici (rimane in testa per sempre "Silvia non è morta, è ritornata dal canal"); la sceneggiatura è pure lei funzionante, lineare, senza colpi di scena (bastano i colpi improvvisi e spropositati di nonsense e anche le battute squallide [il gioco bianchetto/negroni, o l'assenza di acqua in casa] sono squallide, ma comunque divertenti per la messa in scena); azzeccatissima anche la musica, che l'anno dopo vinse il Nastro d'argento per la miglior musica, e che ci regala una delle più famose tracce del molleggiato. La fotografia, superba, è di Alfio contini, che qualcosina l'aveva già fatta e la farà dopo il film in oggetto. 
I temi son tanti: dall'amore/odio all'interno di una coppia, al problema dell'adozione e della madre "putativa", dallo sfruttamento dei lavoratori, alla mancata riconoscenza di chi ti salva da uno stupro, all'integrazione dei neri passando per la validità e l'importanza del matrimonio (non solo come rapporto d'amore, ma come contratto legale) per arrivare fino ai temi ecologisti, ecologici tanto cari al regista/attore/cantante/presentatore. Tutti i temi vengono affrontati con naturalezza, ci è chiara l'idea e l'opinione del regista/sceneggiatore, ma questo non pesa sulla trama, non infastidisce e soprattutto non inficia in alcun modo il godimento del film o l'avanzamento della storia: in pratica Celentano riesce a dare dei bei messaggi senza sfrantumarci gli zebedei con lezioncine leziose e fastidiose. 
Venezia ci viene mostrata come mai è stato fatto, e come forse mai ci sarà mostrata: umida, diroccata, distrutta, zuppa di tutto il dolore e la sofferenza di questi poracci, ma comunque migliore di Milano, dove tutti son bianchi e cadaverici, e hanno come unico obiettivo il vil danaro, di cui diviene schiavo anche il nostro Felice alla fine, perdendo parte della sua felicità. Qui è possibile trovare le location, grazie al lavorone di Zender
Il film si lascia guardare, i 125 minuti scorrono, senza annoiare nè infastidire; alcune scene nonsense son troppo nonsense, ma comunque rimane un baluardo del cinema italiano, spesso irraggiungibile ai più.





prima il trailer



e poi il film completo, finché dura sul tubo

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