#TaoFest - volume 8 [0 voglia di restare]


Finale in sordina, solo due masterclass, entrambe a condite con una salsa politica, e la premiazione finale (saltata a piè pari).




Si comincia con John Turturro e una gradevolissima masterclass con lui. La sua versatilità nel passare da regista ad attore (impossibile in Italia, dove chi passa dietro la mdp non può tornare più davanti) e la sua simpatia gli hanno permesso di recitare in tanti film, dirigerne altrettanti, divertendosi sempre, come se fosse in un gruppo di amici. Il cinema italiano lo ha corteggiato, ottenendo nel 1997, la sua partecipazione nel film "La tregua" di Francesco Rosi. Quando gli si chiede quale ruolo nel cinema, o nel teatro, gli manchi, risponde in maniera politicamente corretta: "la mia carriera mi ha permesso di fare tanto, cambiando spesso...non mi manca niente". Parlando poi del cult "Il grande Lebowski" Mario Sesti, direttore artistico del Festiva, fa notare come il film sia divenuto un tantra politico per una generazione orfana di ideali; la risposta dell'attore è stata meravigliosamente chiara e esplicativa, oltre che in italiano: "Non è una bella cosa!". Turturro ricorda anche Philip Seymour Hoffman (ricordato al teatro greco qualche giorno prima con la proiezione di "Synecdoche, New York"), ricordando più il suo problema che l'uomo, e ricordando a tutti noi che i problemi, nella vita, vanno risolti da soli, e che se non siamo noi i primi a volerli risolvere, difficilmente chi ci sta intorno può aiutarci. Il musical poi ricorre spesso nella filmografia dell'attore/regista, che spiega come preferisca fare qualcosa di veritiero e realistico anche se non perfetto: "vorrei raccontare una storia vera, normale...come quando si canta sotto la doccia...tutti vogliamo cantare e danzare, e io voglio raccontarlo". Le domande dal pubblico sono le più numerose di tutte le masterclass, si passa da Allen, che Turturro definisce "un folle come me"; agli stereotipi, che cerca di distruggere in ogni suo film, soprattutto quelli "terroni" viste le sue origini; per finire con l'annuncio, o meglio l'annuncio della volontà, per due film: "Barton Flink 2" e uno spin-off su Jesùs da "Il grande Lebowski".


All'ora di pranzo arriva Jim Gianopulos, produttore e greenlighter di Hollywood per la FOX. Dopo una clip esaltante e che carica abbestia lo spettatore (potrebbe essere una buona base per i montatori del TaoFest per capire come si fa una clip epica per presentare qualcuno e/o qualcosa) arriva lui: bassino, con un pò di pancia, la faccia serena, e lo sguardo semplice (non riuscirà a guardare negli occhi i suoi interlocutori, abbassando spesso lo sguardo, strano per un tipo che decide se dare o meno 150 milioni di dollari a qualcuno per fare un film). La chiacchierata con lui è tranquilla, e serena: si inizia con il raccontare l'amore per il cinema, dove il padre, da piccolo, lo porta almeno una volta a settimana, per due motivi, racconta: "imparare l'inglese, e stare con me" (al che sarebbe dovuto partire l' "AAAAAAAAAAAAAAAWWWWWWWWWWWN" in sala, ma purtroppo non è stato così). Si passa poi ad una breve, quanto intensa, dissertazione sulla politica, suggerita da una domanda di Sesti: "se voglio mandare un messaggio, uso un telegramma" chiudendo tutte le possibilità di visione politica o sociale nei film. Ovviamente Gianopulos riconosce la valenza di un film e la sua potenza nel trasmettere il pensiero di un autore, ma quello che vuole fare lui, come produttore, è fare film, fare bei film, non fare politica. Gli si chiede poi se la scelta dell'attore incide sulla buona riuscita del film, e ovviamente risponde che "buoni attori fanno buoni film" il che è anche un pò ovvio e scontato, ma così non è sembrato al poco pubblico presente in sala. Si finisce a parlare, come ormai consuetudine a questo Festival, che dall'anno prossimo sarebbe bene cambiasse nome, di serie tv: "è un grande momento per le serie tv, soprattutto in america - dice - soprattutto per il drama...la tv ha una più facilità di fruizione, e anche se si perde una puntata è possibile rivederla quando si vuole, in tutta comodità". La cosa più interessante emersa dall'incontro è stata la profonda sensibilità di quest'uomo, che maneggia milioni di dollari, e la semplicità con cui ha detto che nel film cerca il messaggio del regista/autore e il "come" questo messaggio possa risultare al pubblico. 

Il momento dei premi: Cariddi a Frank Matano, Taormina Arte Award a Jim Gianopulos, Golden Globe al Taormina Film Fest e Taormina Arte Award a John Turturro.

Di certo invitare Matano ad un festival di cinema mi sembra, perlomeno, blasfemo, ma tanto questo è stato il festival del Gramour, delle foto e dei nomi altisonanti da poter mettere in un futuro curriculum da buonista che fa beneficenza e deve mostrare a tutti che la fa (ogni riferimento a Tiziana Rocca è voluto, cosciente e pure insultante). 

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