Una questione privata (2017) dei fratelli Taviani

metti una sera piovosa, al cinema, alle 22.30, in 5 in sala, con un amico che adora Marinelli e ti fa notare ogni volta quanto, nonostante la scena, gli stia bene la camicia o la giacca... recensione film UNA QUESTIONE PRIVATA - screenshot del film - onironautaidiosincratico.altervista.com

Premettendo che il libro di Fenoglio non l'ho letto, e non ho intenzione di farlo, e che dei Taviani ho visto solo il meraviglioso Cesare deve morire, non mi aspettavo nulla da questo film: non avevo visto alcun trailer, né letto recensioni, né in realtà sapevo fosse in sala [dopo Rambo6 e tutti i trailer visti, non voglio più avere info riguardo ad un film, di nessun tipo, solo dopo la visione cerco, leggo, guardo, ascolto; anche se il mio compagno di visione mi ha "spoilerato" una mordace recensione, quasi polemica, letta nel pomeriggio: più che da Beppe Fenoglio, sembra tratto da Beppe Fiorello]. 
La seconda guerra mondiale, con le sue cruente visioni (da entrambi i lati), con la sua lotta fratricida, con le sue complicate gestioni fa da sfondo ad una storia d'amore, ad una presunta storia d'amore, ad una storia d'amore che forse sta tutta e solo nella testa del protagonista, un glaciale Luca Marinelli, che mostra una grande capacità nella recitazione, seppur rimane migliore nella parte del cattivo/sociopatico. La guerra diventa quindi la scusa, l'escamotage per la distanza tra i due, per permettere al nostro Milton (personaggio autobiografico per Fenoglio, come il fascista che deve uccidere sarà stato biografico per i Taviani) di elaborare la "perdita" di Fulvia, di rimpiangere tutte le volte che avrebbe potuto e non ha fatto/detto. Inizialmente sembra un nuovo film sui partigiani, ma poi tutto si sposta sulla questione privata del titolo, senza forse mai giungere ad una vera e completa soluzione. 
Il D.S.M. definirebbe questo film affetto da ciclotimia: alcune scene sono degne del miglior Cinema, di cose che i Taviani han saputo dare alla settima arte italiana e non solo (come la scena della bambina, cruda e reale, mostruosamente violenta nel suo lento procedere verso il nulla) e roba aberrante che neanche nelle peggiori fiction (da qui il Fiorello della recensione caustica) come i titoli di testa in moviemaker, la nebbia in una pessima CGI o la scena di combattimento telefonata che sembrava uscita da un brutto presepe a casa della nonna. Si passa poi da zoom e silhouette nella nebbia (questo novembre è pieno di nebbia al cinema, Milton e Giorgio potrebbero essere ragazzi nella nebbia tavianiana) tutto molto anni '80, a scene modernissime, quasi post-moderne come quella nel cimitero, coi ricordi che sembrano uscire fuori dalle lapidi, silenziosi e dolori al tempo stesso. 
Le luci sono pessime, sembrano messe su da un ragazzino o da un Duccio Patanè qualsiasi, senza curarsi delle posizioni degli attori o della macchina da presa (la cosa più inquietante è un sole che fa ombra ad un balcone e quello accanto no, durante una scena di ballo illegale durante la guerra); di contro però la fotografia, o meglio le inquadrature, sono spettacolari, ci sono alcune scene che potrebbero benissimo essere prese e messe dentro un museo di arte ed essere scambiati per quadri manieristi. Quasi incantevole, seppur prevedibile e didascalica (forse troppo), la colorcorrection: vivace e piena di colori nei ricordi, desaturata nel periodo della guerra. Due scene sembrano essere uscite da uno strano film di Mr.Bean ambientato nelle alpi torinesi del post armistizio: la morte del sergente fascista, con chiari e espliciti intenti comici, seppur all'interno di un dramma; come, con gli stessi intenti, la scena dell'altro fascista catturato, il jazzista pazzo e sadico.  
Il cast, a parte il già citato e spettacolare Marinelli, ha un Marco Polo ingrassato, che fa benino la sua piccola parte; Fulvia è la lolita della situazione, il centro del triangolo come la stessa Bellè ha definito il personaggio, svampita e a volte rincoglionita, che la fa odorare al povero Milton, e forse qualcosa in più al buon Giorgio-Marco; Guglielmo Favilla, già noto per il corso di cazzotti del Dr.Johnson e per altre collaborazioni coi meravigliosi Licaoni, fa la sua piccola parte che muore inutilmente e in una maniera stupidissima; ultima nota è la presenza di Mauro Conte - Paco, che somiglia mostruosamente, ma solo nel film, a Massimo Ranieri. 
"Non morire, sarà interessante esser vivi dopo..." la frase che lo Sceriffo dice a Milton prima della sua ricerca, e che forse rappresenta anche il misterioso e vago finale. 



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