Sogno di una notte a Bicocca (2018) di Francesca Ferro

sabato pomeriggio, Piccolo teatro della città (che poi tanto piccolo non è), un amico mi propone questo spettacolo: so solo il nome, ma mi ispira, e si va... tutto lo spettacolo visto con il grande capo Estiquaaatsi vicino, che non ha riso credo a nessuna delle battute, molto attento a tutto quel che succedeva sul palco
sogno di una notte a bicocca recensione onironautaidiosincratico.blogspot.it
Un corso di teatro in carcere, 9 carcerati (più uno nominato spesso, ma che non si vede mai), 1 "professoressa", 1 guardia giurata, 1 direttrice (che per la replica vista da noi mancava, e si sentiva la mancanza in alcuni passaggi), uno dei testi più famosi di Shakespeare; questa la sinossi, neanche troppo sintetica, dello spettacolo diretto da Francesca Ferro con la produzione del Teatro Mobile
Lo spettacolo è prevedibile e telefonato: inizia il corso e son tutti distanti e disinteressati, soprattutto quelli che dovrebbero interpretare delle donne (cosa che all'epoca di Shakespeare sarà stata pure la normalità, ma in un carcere con pregiudicati dal non altissimo livello culturale può essere scambiato per qualcosa di poco utile ad aumentare lo status all'interno del carcere stesso, dove la posizione e l'immagine contano più che a un concorso di bellezza); alla fine tutti si redimeranno grazie al teatro, tutti troveranno il proprio piccolo angolo di libertà (nonostante la collocazione fisica del proprio corpo) dentro le opere del Bardo.
Il testo dell'opera shakespeariana è riadattato e sicilianizzato fino allo spasmo (generato dalle risate): quello che si vede è un alternanza tra la vita da carceraria quotidiana e le prove, fino allo spettacolo finale: nell'arco di tempo raccontato si vede l'evoluzione di tutti i carcerati: da gretti e volgari uomini senza null'altro che istinti primordiali a raffinati attori che, nonostante il proprio linguaggio non sembri affatto quello delle fate o dei folletti, riescono a mettere in scena un'opera piena di intrighi che poco si discosta dai vari Beautiful o Segreto, e che racconta in fondo dinamiche simili a quelle che vivono i protagonisti: potere, amore, liti, servitori e re.
Scenografia minimale di Arsinoe Delacroix, che comunica quel che deve, che fa sentire lo spettatore quasi un voyeur, che nel finale evasivo diventa protagonista. Luci semplici, ma efficacissime ad isolare i vari personaggi quando serve. Quello che invece non funziona sono i vari movimenti fuori dalla cella-salaprove: non si capisce bene dove i due unici personaggi che possono uscire debbano andare, quale sia il percorso, perché possano passare da lì e non da qui (ma questo credo sia dovuto al "trasloco" dell'opera dal centro Zo al Piccolo).  
I testi son stati "tradotti" da carcerati reali, che stanno scontando ancora le proprie pene, a cui viene dedicato nel finale lo spettacolo stesso.
L'opera è una commedia, di quelle che fa ridere e parecchio (anche se solo i catanesi, forse già a palermo o messina farebbe ridere molto molto meno): "abra-calabria" urlato come formula magica prima di un balletto latino-american-catanese è qualcosa che rimane e fa ridere anche dopo; si riflette pure, soprattutto con la storia di Provola (il ragusano della situazione) unico del quale viene un pò approfondita la caratterizzazione (gli altri son macchiette stereotipate) e di cui viene narrato non il motivo per il quale è finito in carcere e anche un evento accaduto durante le prove dello spettacolo. Purtroppo degli altri personaggi in scena, soprattutto della "professoressa" Francesca sappiamo poco, conosciamo poco all'inizio e meno alla fine, non vediamo un'evoluzione, una crescita, un cambiamento di alcun tipo.
Bello spettacolo, diverte senza pretese, fa riflettere anche qui senza pretese, intrattiene senza mai annoiare né stancare nonostante le quasi due ore, consigliato dovessero riproporlo.

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